Mamma mia, come stressano i risultati degli esami.
La settimana scorsa sono usciti i risultati dei test finali. Questa volta però, tra gli alunni che festeggiavano contenti il risultato positivo c’era un numero forse più alto che in altri quadrimestri di studenti irritati, delusi, indignati.
Avevano scoperto il fatidico “bocciato” vicino al proprio cognome, un affronto “difficile da digerire”, mi ha detto una tipa, mai vista prima, portavoce di un gruppetto imbronciato.
La tipa non mi lasciava passare, benché io non fossi stata la sua insegnante, ma tant’è, ne avrebbe fatto le spese il primo docente di passaggio. Intanto rincarava la dose: l’italiano, se per caso l’avessi dimenticato, trattasi di una lingua che si studia per “piacere”, ossia “per passar-s’ho bé”, di sicuro non è competitiva come l’inglese, “che se non lo so non mi danno il lavoro!”. Poi il colpo di grazia, da un’intera classe di bocciati: non metteremo più piede in questo centro, non abbiamo i soldi da sprecare, torniamo all’Istituto Francese…
Come se l’ortografia francese fosse facile, ho pensato io, ma l’ho solo pensato, perché in tempi di crisi di iscrizioni, crisi di tutto, non era il caso di polemizzare, dando ulteriori lezioni a un gruppo inferocito che, tra l’altro, non conoscevo affatto.
Inevitabile considerare che qualcosa non ha funzionato in questa classe. Nessun obiettivo è stato acquisito. Si potrebbe chiudere il discorso con un “somari, sforzatevi di più”, se non fosse che un intero elenco di bocciati fa male agli occhi. È doveroso chiarire che la classe in questione, dallo scarso profitto, apparteneva addirittura a un corso avanzato!
Sull’argomento verifiche non esistono risposte precostituite, tuttavia dopo le lamentele ascoltate, la domanda che mi frulla per la testa è in che modo sia possibile perseguire gli obiettivi di apprendimento per l’italiano L2, senza perdere di vista la qualità dello stesso. Arriva il momento che bisogna pur ripassarle ste’ preposizioni, ma gli alunni si giustificano ricordando che la spendibilità sociale dell’italiano non è paragonabile a quella di altre lingue. Tale giustificazione lascia il tempo che trova, dato che un’insegnante d’inglese mi ha riferito dei molti problemi da affrontare ogni giorno anche per l’insegnamento della lingua della ricerca scientifica e del commercio internazionale. Tra cui c’è anche quello di correggere continuamente gli errori “fossilizzati”. Ci riusciranno mai? Per il momento, con l’agilità di sempre hanno raggiunto un compromesso tra l’inglese dei madrelingua, con tutte le sue varianti, e il “global English”, eufemismo ufficiale per “guaranì English” (come viene chiamato scherzosamente dagli anglo-americani-australiani-canadesi l’inglese parlato a livello planetario). Se questo può servire a consolarci.
Tornando al discorso verifiche, si è detto e scritto parecchio sull’argomento valutazione e certificazione dell’italiano a stranieri, abbiamo al rispetto le prove CILS fin dai livelli A1 e A2, veicolati in modo efficiente dal Quadro comune europeo.
Ebbene, la valutazione che già è problematica, si sta complicando ancora di più a causa dei nuovi contesti d’uso derivanti dalle tecnologie.
Infatti, dopo la sgridata della classe bocciata, ecco arrivare una mia alunna dell’intermedio 1 che mi annuncia trionfante di aver appena aperto una pagina su Facebook, allo scopo di non perdere di vista i compagni di classe, di poter condividere contenuti in italiano, nonché continuare a “parlarsi” in italiano, anche se con gli strafalcioni ad uso. La classe mi guardava compiaciuta. Una classe dell’intermedio 1 possiede un livello ancora bassino di competenza, non completa ancora il profilo di apprendente B, o “indipendente”, secondo i parametri del Quadro Europeo. A quanto pare, gli studenti vogliono sentirsi autonomi prima del tempo. Evviva l'interlingua. Ecco, forse un'occasione imperdibile per analizzare l'interlingua!
Nel social network "Italiano per Principianti?" esiste già un gruppo formato esclusivamente da alunni di italiano della Scuola Ufficiale di Lingue di Sagunto (Valencia). L’iniziativa dei miei alunni sembra dunque in linea con lo spirito dei tempi che corrono.
Sul momento ho pensato che forse un esperimento iniziato in ottobre di quest’anno accademico aveva favorito l’iniziativa. O forse mi sto mettendo una medaglia che non merito? Comunque, durante l’anno ho aperto un wiki per i miei studenti, allo scopo di riprendere alcuni aspetti del programma che la mancanza di tempo (e di risorse) non permetteva di approfondire. L’esperienza sta durando tutt’ora ed è presto per parlare di risultati.
Per farla breve, in via sperimentale vorrei favorire una nuova usabilità dell’apprendimento in un contesto formale/ non formale. Il wiki è uno strumento non formale che ho usato come repository e appoggio per le lezioni in classe. In questa modalità d’uso (non è l’unica) il wiki non ha contraddetto l’apprendimento istituzionalizzato che avviene sempre in ambiente formale, dove si insegna un sillabo pianificato. Per quanto inaspettata, l’idea di Facebook fa notare senza dubbio un interesse per l’italiano, ma pone anche il problema della tematica dell’apprendimento informale, libero, non intenzionale. Del “fai da te” nel dopo scuola, insomma.
L’annuncio dell’alunna mi ha colto un po’ di sorpresa, non lo nego (sono una immigrata digitale!). Sospettosa, mi sono chiesta se fosse possibile l’apprendimento delle lingue in un contesto come quello di Facebook, ma soprattutto quali criteri di coerenza fossero possibili tra il sillabo proposto in classe e la conoscenza informale prodotta sul muro del social network. Inoltre, quali sarebbero le ricadute per la valutazione di un apprendimento informale, affinché imparare l’italiano risulti efficace.
Queste considerazioni suggerirebbero che:
1) io cammino sempre con un passo indietro rispetto all’utenza che, comunque, non è affatto “digital native”, infatti l’età di questa mia classe va dai 32 ai 65 anni.
2) Le prove valutative formali vanno bene per un percorso di apprendimento strutturato, questo lo sappiamo, ma visti i risultati, ormai non funzionano neanche tanto bene.
3) Se accettiamo che si possa acquisire la conoscenza anche in un contesto informale, bisognerà affrontare questa dualità di apprendimento. Ciò comporta chiedersi quale strada scegliere per valutare i due tipi di apprendimento, quello linguistico in classe e quello informale. Valutarli insieme o separatamente? Ovvero, la valutazione formale (continuata e finale) si dovrebbe affiancare a quella informale? Per esempio con un e-portfolio?
Per il momento, non ho risposte.
Il mondo cambia, i contesti della conoscenza si sono diversificati, coinvolgendo a mio avviso anche i modelli di analisi di competenza e padronanza delle lingue.
Bene, ho dovuto ridefinire l’intero senso dell’apprendimento, perché il mondo corre così veloce... Le concezioni che avevamo al rispetto, quando la conoscenza si trovava concentrata in un posto fisso, per esempio in una biblioteca, non funzionano più. (J. Cross, Informal Learning, 2004)
No alle tecnologie senza un fine pedagogico, avverte il progetto europeo EPICT, per una definizione delle metodologie didattiche in ambito formale/ informale. L’acronimo EPICT significa European Pedagogical ICT License, di cui il sito EPICT.
Rilassiamoci, dunque, è inutile stressarsi, meglio vivere l’estate e lasciare per l’autunno gli esperimenti sugli alunni informali.
Alcuni riferimenti utili
Un classico: AA.VV. Valutare e certificare l’italiano di stranieri. I livelli iniziali, Guerra, 2003. Prefazione di M. Vedovelli. Occhio alla bibliografia!
Non tutti i docenti hanno smesso di guardare agli errori con preoccupazione, nonostante ce lo consigli Quando gli studenti sbagliano: l'errore, speciale di Officina.it, 2008 (09) di Alma Edizioni.
Per l’apprendimento formale/ informale, non specifico delle lingue straniere:
Cren, E. (2009), Web 2.0 e formazione:folksonomia e apprendimento condiviso, rivista Form@re, 61(2). Accesso gratuito. Occhio alla bibliografia!
Piave, N. (2008), Educare all'apprendimento informale online: la scuola 2.0 fra paradosso e opportunità, da Il giornale dell’e-Learning, anno 2 nº 5.
Battigelli, S, Sugliano, A.M., (2008), Ambienti di comunicazione per l’apprendimento formale/ informale, analisi delle funzioni d’uso dei diversi ambienti di comunicazione nella comunità e nel corso EPICT.
Ho tradotto due frasi da un intervista a
Cross, J. (2004) An informal history of eLearning. dalla rivista On the Horizon [su Internet] 12(3). pp.103-110. È necessario fare l’account e pagare. Intervista segnalata dal blog: E-learning Curve Blog
E inoltre: Cross, J. (2007) Informal Learning: Rediscovering the Natural Pathways that inspires Innovation and Performance. San Francisco: John Wiley & Sons, Inc.
2 commenti :
Ho appena finito il libro di Cross (Informal Learning). Interessante, anche se è più rivolto al business che alla didattica.
Volevo segnalare alcuni segnalati nella bibliografia:
http://www.ontariohomeschool.org/informallearning.html
http://marciaconner.com/intros/informal.html
http://www.informl.com/2006/05/20/what-is-informal-learning/
Buona lettura!
GRAZIE, tutto salvato su Delicious! Ma a proposito di nativi digitali e apprendimento informale, Gianni Marconato ne parla con il suo caratteristico stile incisivo in questo articolo:
http://www.giannimarconato.it/2009/03/i-nativi-digitali-non-esistono-parte-seconda/
In Italia si parlava di apprendimento informale già nel 2007, ma tra gli insegnanti di italiano per stranieri chi si è mai posto il problema? E sta finendo il 2009...
Altri riferimenti:
http://www.giannimarconato.it/category/apprendimento/apprendimento-informale/
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