venerdì 15 maggio 2009

FUTURO O FUTURO NEL PASSATO?


In settimana si sono conclusi due eventi che potrebbero suggerire qualche spunto in più per arricchire di nuovi argomenti le lezioni sul futuro, o sul futuro nel passato.

Le Venice Sessions: le conseguenze del futuro organizzato da Telecom Italia e Nova a Venezia, eccellente riflessione sul rapporto tra tecnologie e arte.

Il secondo evento è invece il premio Velázquez all’artista di Barcellona Antoni Muntadas. Videoarte ed Internet-art definiscono questo artista residente negli Stati Uniti, da più di trent’anni impegnato nella sperimentazione di nuove espressioni con le tecnologie.

Entrambi gli eventi hanno in comune una connessione con la ricerca di narrazioni ai tempi di internet. Chissà che ci aiutino ad insegnare meglio agli alunni ispanofoni come esercitare futuro e condizionale composto.

Per cominciare, un bel compitino sul futuro nel passato attraverso due previsioni future, sbagliate, riguardo il modo di comunicare. Ce le racconta Maurizio Ferraris: Le radici della globalizzazione sono nelle registrazioni.


Gli interventi sono tutti davvero stimolanti, ma per andare sul tema della scrittura, eccone due di Alessandro Baricco (che ultimamente ritrovo un po’ dappertutto come il prezzemolo).

Lo scrittore indica come stiamo accettando una narrazione sempre più semplificata del reale a cambio della velocità, della capacità di trasmissione. In questo modo perdiamo un reale dominio della complessità:

La voce del narrare

In un altro intervento Baricco afferma che in Occidente la narrazione più consolidata sul futuro può riassumersi così: il futuro è finito.

Potrebbe essere un modo paradossale per introdurre una lezione sulle forme del futuro, ma si corre il rischio che se diciamo agli alunni che il futuro è finito, non ne studierebbero più la coniugazione e buonanotte.

Il discorso Tecnologia e Arte Contemporanea viene sviluppato invece in una sessione specifica, continuando anche su Facebook:

Il M.I.T. e la Biennale alle Venice Sessions.

In tali contesti, con una tecnologia sempre più pervasiva nella vita di tutti, anche degli artisti, non è casuale il riconoscimento al catalano Muntadas, come segnalavo prima. In Italia, il gruppo Studio Azzuro si muove in questa direzione, le tecnologie permettono all’artista di sperimentare l'eterogeneità delle interazioni tra l’opera d’arte e il pubblico.

Concludo con qualche modesta riflessione da prof:

Il futuro era quel tempo che dal punto di vista cronologico indicava un fatto che deve ancora verificarsi o giungere a compimento, come si legge nella “Lingua Italiana” di Dardano e Trifone.

Parafrasando Baricco, se il futuro è già finito, quale narrazione ci aspetta per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri? Esiste per noi questo tempo futuro, ormai sempre più incalzato dal presente che lo coniuga velocemente in un futuro nel passato? Sarà (è) possibile svolgere la nostra professione con una costante mancanza di risorse tecnologiche, proporre ancora dei corsi insegnando soltanto con il gesso, la lavagna e la radiocassetta?

Va bene, avevo già intonato la lamentela del gesso, lo riconosco, sono un po’ fissata. Ma non sono pessimista, le domande partono da una determinata realtà, che è quella che ci troviamo ad affrontare ogni giorno.

Inoltre, vorrei riferirmi anche al dilemma che investe la competenza grammaticale sull’uso dei “futuri”.

Effettivamente ormai riconosciamo il tempo futuro come modo e meno come tempo. Inserisco nei test la coniugazione al futuro quando propongo una brochure pubblicitaria con qualche prodotto o programma turistico (il primo giorno visiteremo…, nella nostra spa troverete….), oppure con lo scopo principale di indicare una supposizione, un uso dubitativo: Si sarà sposata Carla?, oppure: Sarà anche ricchissimo, ma è un gran maleducato! per esprimere una concessiva.

Nei test bisognerebbe tener sempre presente l'uso della lingua, per non cadere nella tentazione di chiedere agli alunni: “descrivi le tue vacanze future, dove andrai, con chi parlerai…”, quando noi siamo i primi a dire, “Quest’estate vado in Sardegna, voglio fare trekking…”.

Il futuro nel passato invece lo usiamo con maggior frequenza e, benché venga spesso sostituito nel parlato dall’imperfetto indicativo, ciò non significa che gli alunni ispanofoni lo usino con più facilità. Abbiamo un bel ripetergli di usare l’imperfetto che in questo caso offre più scioltezza al discorso. Quando devono scegliere un tempo per esprimere lo svolgimento di un’azione futura ma che il contesto pone in un racconto passato, di solito non si sognano di utilizzare l’imperfetto, per la semplice ragione che in questo caso non rientra nel repertorio grammaticale del catalano o del castigliano.

Il condizionale composto per il futuro nel passato entra con difficoltà nelle competenze degli alunni ispanofoni che lo dimenticano sempre, per inserire il loro (più breve) condizionale semplice: “Mi ha detto che verrebbe ieri pomeriggio…”.

Non è un problema da poco, infatti rivela uno dei pochi errori ripetuti anche dai ragazzini di famiglia italiana, cresciuti in Spagna, a contatto con le tre lingue romanze. Sono bilingui o anche trilingui, come nel caso di quelli residenti a Barcellona, che parlano l’italiano, il castigliano e il catalano. Quando spiegano un evento al passato gli scappa: Lo sapevo che Tommaso non verrebbe (invece di sarebbe venuto), perché aveva mal di pancia.

Sono disponibili ottimi studi di grammatica contrastiva che analizzano la questione.

Io mi sono ormai rassegnata ai condizionali presenti degli alunni.


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